Jo la piazza

La nostra famiglia, nel frattempo, era cresciuta di numero: nel 1932, nella nuova casa di Via Orioli, che il babbo aveva acquistato da Felicetto Chiricozzo detto Purifica, facendo una permuta con un pezzo di vigna al Poggio, era nata, il 12 novembre, mia sorella Elisabetta, dal nome della nonna materna; per semplificare il nome fu chiamata Lisetta. Nel 1935, il 27 febbraio nacque Bruno e cosi’ la famiglia ora si componeva di Otto figli.
Nel frattempo il babbo prese, a mezzadria, un pezzo di vigna di proprietA’ del maestro Adriano, nella contrada detta Paradaio.
La vita era grama, ma si era felici. Si lavorava molto per tirare avanti; tempi duri, specie quando per la guerra all’Etiopia, all’italia le furono applicate le sanzioni economiche, il 18 novembre, credo sia stato nel ‘35. Il raccolto non bastava mai per la numerosa famiglia e si doveva ricorrere a fare credito, specie durante l’inverno, da Cipriano che aveva un negozio di generi alimentari; credito che si pagava sia con l’uva a ottobre e sia con il guadagno delle castagne. Quello che rimaneva si finiva di pagare con la vendita dei prosciutti e delle spalle, quando si ammazzava il maiale.
La mamma era costretta, tra l’altro, a fare il pane per la comare Tilde, che era una cugina della mamma e che aveva una bottega di generi alimentari proprio nella via Orioli. La mamma faceva il pane e a tanti chili di farina doveva consegnare tanti chili di pane, il piu’, ed era sempre una coppia di pane (circa un chilo e mezzo), rimaneva alla

mamma. Cosi’ si tirava avanti: pasto principale, quasi sempre, le fave miste a patate e verdura ma con poco olio che anche questo scarseggiava. Il secondo consisteva in verdura cotta e fritta in padella (strascinata), alternata con patate “strascinate”. La mattina, per colazione, si riscaldava quello che era avanzato la sera avanti, oppure si facevano le castagne arrostite (le caldarroste).
Le castagne, spesso, si arrostivano anche la sera dopo cena. Mentre si era tutti attorno al camino, la mamma o chi per lei, cuoceva le castagne con la tiella (una vecchia padella bucherellata). Quando erano bene arrostite, si metteva la tiella a terra nel mezzo e, dopo averci messo un pezzo di balla sopra e premendo con un piede affinché se ci fosse stata qualcuna da scoppiare, veniva schiacciata, si iniziava a mangiarle. Mio fratello Cleo, invece di prenderne una per volta, le prendeva due o tre e, mangiandone una, l’altre se le metteva in tasca; quando le caldarroste erano finite, lui aveva le tasche piene. Allora, io che ero il piu’ grande, facevo mettere tutti i fratelli in piedi e in fila e passando la rivista alle loro tasche, scoprivo infine chi aveva barato. Cio’ avveniva tra le risate di tutti.
A queste scene serali non mancava, quasi mai, la zia Costanza e le sue due figlie:
Beffa (Elisabetta) e Benita, dal nome di Benito Mussolini, era nata nel 1922, cosi’ pure si chiamava Benito, il secondo figlio di zio Martino. Insomma, pur vivendo una vita di sacrifici, si gioiva e ci si divertiva abbastanza, specie la sera dopo cena attorno al fuoco del camino.
Spesso venivano le vicine di casa: la Giulia, che aveva avuto il marito morto in guerra, Augusta, moglie di Ulderico il sarto e non mancava mai la zia Costanza che era speciale per raccontare i vari fatti accaduti, sia recenti che remoti, specie quelli riguardanti la famiglia del nonno Giovanbattista.
Tra questi ricordo quel fatto riguardante l’unica recita che fece il nonno all’etA’ di sedici anni. Allora, e anche fino a prima della seconda guerra mondiale, ogni anno, specie d’inverno, venivano a Vallerano delle compagnie teatrali che rappresentavano, al teatro comunale, una serie di lavori e di questi mi sono rimaste impresse: “La morte civile”, “Le due orfanelle”, ecc. Un’orchestrina, formata da elementi della banda musicale, durante gli intervalli e stando sotto il palcoscenico, suonava i ballabili. Il babbo sempre ne faceva parte ed io seguivo lui come spettatore. La gente gremiva il teatro e tutto il paese partecipava. Come dicevo, in una di queste compagnie teatrali, mancava un ragazzo molto robusto che doveva tenere fermo uno della compagnia, e non farlo fuggire. Era questa la parte che il nonno avrebbe dovuto fare. Subito la cosa si seppe specie in seno alla famiglia del nonno e tra i parenti. Le sorelle: Letizia e Agnese coi fratelli, occuparono i primi posti proprio davanti al palcoscenico per vedere e sentire meglio. Al nonno gli fecero indossare un costume che, essendo lui ben piazzato

fisicamente, gli andava alquanto stretto. Si apre il sipario ed ha inizio la recita. Ad un certo punto entra il nonno che vedendo nella prima fila le due sorelle e i parenti, gli viene tanto da ridere che non puo’ trattenersi. Nello sforzo che fa per ridere, il costume, che era vecchio e che, come ripeto, gli stava stretto, si apre davanti nella pancia al che la risata acquista un carattere generale da costringere il capocomico a dare ordine di chiudere subito il sipario per evitare lo scandalo. Cosi’ fini’ l’unica recita del nonno Giovanbattista.
Un altro dei fatti che raccontava la zia Costanza e che mi viene in mente, fu quello riguardante lo zio Enrichetto quando era ragazzo: il nonno aveva un fratello molto piu’ giovane di nome Serafino al quale, data l’etA’, gli piaceva giocare coi nipoti, specie durante le feste di Natale, per togliere loro i pochi soldi che avevano avuto, come mancia, dagli altri zii.
Una sera, del periodo natalizio, lo zio “Righetto”, che allora avrA’ avuto sette o Otto anni, era seduto nella “cornice” (un lato della pietra del camino) e giocava a mattinicchia, specie di giuoco con la mattinicchia (recipiente di legno che serviva a scegliere i legumi). Si facevano correre, su di essa, i soldi e, a secondo come cadevano, si vinceva o si perdeva. Chi vinceva si prendeva anche il soldo dell’altro e viceversa. Premetto che lo zio era seduto dal lato opposto a quello che usava sedersi il nonno, e proprio da quel lato era posata la catena del camino, in attesa d’essere appesa nella cappa. Arriva il nonno e con fare burbero, (il suo modo abituale) dice: «Righetto, togliti da li’ che voglio sedermi ». «E che... (lo zio da piccolo balbettava un po’ a parlare) e’ quello il tuo posto » indicava l’altro lato del camino. «Il mio posto e’ quello, pero’ ora voglio sedermi da questa parte », rispose il padre. «Ma... se... ti sei m... messo sempre lA’ » replica lo zio. «Ed ora voglio mettermi qua ». La resistenza dello zio, a ubbidire, dipendeva dal fatto che un gancio della catena, che si trovava dietro di lui, si era agganciato ad una delle bretelle che reggevano i calzoncini e non riusciva a sollevarsi. «E... che... proprio stasera devi metterti qua? ». ii nonno, che era di poche parole, perdendo la pazienza e con veemenza, accompagnata da un gesto imperioso della mano dice: «Va fuori dagli stivali subito! ». Lo zio, dalla paura, si alza di scatto e scappa, trascinandosi dietro tutta la lunga catena del camino. A quella vista tutti, compreso il nonno, che non era facile al riso, scoppiano in una grande risata.
A quei tempi la famiglia del nonno abitava nella casa dove poi ci hanno fatto, e ci sta tuttora, l’asilo infantile, mentre la famiglia del babbo abitava vicino al Comune dove prima vi erano le scuole elementari, poco distante erano le due famiglie e forse per questo il babbo e la mamma s’mnnamorarono e si sposarono.
Durante la stagione estiva, Vallerano si popolava di villeggianti; per lo piu’ erano valleranesi che abitavano a Roma e tra questi vi era la zia Elina, cugina del babbo, che a Roma esercitava la professione di ostetrica, con lei vi era, pure una sua amica, anche lei ostetrica, che si erano messe assieme e che avevano formato una famiglia assieme ad una nipote di zia Elina, figlia di un fratello di lei, Algerico, che abitava a Milano e che faceva il sarto, ma era stato un discreto tenore lirico.
Altri che ci interessavano erano: zio Pietro, Umberto, Armando e Alfredo, Cocco. Figli di una sorella della nonna Santina che, in gioventu’ era andata a Roma quale donna di servizio, e che li’ si era sposata. Con i quattro maschi, aveva pure una femmina, zia Rosa. Tutti venivano, con i loro figli a Vallerano.

 

 

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